Anca
Un tempo l’intervento di protesi d’anca comportava per il paziente un percorso riabilitativo lungo e doloroso, segnato da dolore e diverse limitazioni nei movimenti e la necessità di utilizzo di ausili quali stampelle, deambulatori e alzawater per diverso tempo.
Ad oggi gli accessi chirurgici più utilizzati sono:
- POSTERO-LATERALE: comporta il distacco dei muscoli extrarotatori dell’anca ed gravata dal grande rischio di complicanze post-operatorie quali lussazione e deficit nervosi post-operatori.
- LATERALE DIRETTO: per un accesso ottimale è necessario il distacco del medio gluteo e nel post- operatorio sono possibili zoppie di caduta e lenta ripresa della corretta deambulazione.
L’evoluzione delle tecniche e degli impianti ha ridotto al minimo indispensabile la riabilitazione e consentito di riprendere a camminare fin da subito evitando il periodo iniziale di allettamento e tutti i rischi e i disagi ad esso connesso.
Questo è reso possibile soprattutto grazie ai nuovi accessi chirurgici, come quello ANTERIORE mini-invasivo, che attraverso una cicatrice cutanea di soli 6-7cm, con uno strumentario particolare dedicato, permette l’impianto di protesi d’anca senza la necessità di sezionare alcun tendine o muscolo, ma spostandoli semplicemente e passando tra gli spazi naturali del corpo.
Mantenendo la muscolatura e i tendini vengono preservati tutti gli stabilizzatori dell’articolazione e il rischio di Lussazione è pressocchè inesistente. Inoltre, anteriormente si passa ben lontani dalle strutture nervose e vascolari evitando rischi di menomazioni post-operatorie.
Fin dal giorno dopo l’intervento il paziente viene messo in piedi e incoraggiato a camminare con le stampelle e già dopo 2 giorni può fare le scale e diventare autonomo nei propri movimenti. Il recupero è reso quindi più rapido, e il dolore post operatorio è nettamente ridotto portando la ripresa delle attività della vita quotidiana e l’abbandono delle stampelle in tempi nettamente più rapidi di quanto succede con le altre tecniche chirurgiche.
- Salvaguardia dei tessuti
- Ridotte incisioni chirurgiche
- Rapido recupero post operatorio
- Riduzione complicanze post operatorie
L’artrosi dell’anca è una patologia che coinvolge l’articolazione tra testa del femore e acetabolo del bacino. Questa malattia deriva da un’usura del rivestimento cartilagineo delle due componenti che porta ad un maggiore attrito tra le due ossa e importante dolore per il paziente.
Si presenta tipicamente con dolore inguinale, soprattutto durante il cammino o lo sforzo fisico intenso, limitazione dei movimenti articolari, zoppia e, nei casi più gravi, severa limitazione funzionale. Spesso l’arto interessato è accorciato rispetto all’altro, cosa che può marcatamente aumentare la zoppia presente.
Per la diagnosi è spesso sufficiente una radiografia standard del bacino, ma in alcuni casi può essere necessaria una Risonanza magnetica basale.
Sulla base del quadro clinico e radiografico si possono poi intraprendere varie strade di trattamento: nei casi precoci può essere sufficiente semplicemente riadattare il proprio stile di vita limitando le attività ad alta richiesta funzionale e rinforzare la muscolatura glutea per permettere un miglior funzionamento dell’articolazione. Nei quadri più sintomatici possiamo affidarci alle infiltrazioni intra-articolari con Acido ialuronico o PRP (platlet rich Plasma), ma quando il grado di artrosi è elevato e la sintomatologia seriamente invalidante si rende necessario l’intervento chirurgico di Protesi totale dell’anca.
Questo intervento comporta la sostituzione completa dell’articolazione con due componenti in titanio e permette fin dalle ore successive all’intervento di tornare a camminare e, dopo un breve periodo riabilitativo, a riprendere le proprie attività della vita quotidiana senza più dolore.
La causa principale di impianto di una protesi d’anca è sicuramente l’artrosi dell’articolazione, ma non è l’unica.
Può capitare, soprattutto nei pazienti anziani con un osso osteoporotico, che a seguito di una banale caduta si riscontri una frattura all’anca, più precisamente una frattura del collo del femore.
La testa del femore ha un tipo di apporto sanguigno che viene definito terminale in quanto una volta interrotta la fonte principale di vascolarizzazione non vi è più la possibilità di sopperire in altri modi all’apporto di sostanze nutritizie per i tessuti che vengono quindi condotti necessariamente ad una “morte programmata” ovvero necrosi.
Proprio per questo motivo, le fratture che interessano il collo del femore hanno una scarsa possibilità di guarigione spontanea e anche quelle poche possibilità che ci sono comporterebbero un lungo periodo di allettamento per il paziente (fino a 2-3 mesi). Per questo motivo in molti casi viene proposto l’intervento di protesi d’anca. Grazie a questa procedura può essere permesso un carico precoce sull’arto operato e fin dal giorno dopo si può riprendere a camminare utilizzando le stampelle evitando cosi il lungo periodo di allettamento che comporta sempre maggiori rischi per la salute in generale.
Utilizzando inoltre la Via anteriore mini-invasiva, si evita la sezione di tendini e muscoli, garantendo un risultato a breve termine migliore rispetto alle vie d’accesso tradizionali, con minori rischi di lussazione della protesi e minori limitazioni di movimenti da fare. Questo ha permesso, soprattutto negli anziani, una più rapida ripresa delle attività della vita quotidiana e ha drasticamente ridotto il tasso di complicanze a breve e lungo termine e con queste anche il tasso di mortalità ad un anno.
- Riduzione allettamento
- Rapido recupero post operatorio
- Minori rischi di lussazione
L’osteonecrosi della testa del femore è una patologia che interessa la componente femorale che si articola con il bacino e ci permettere di eseguire i movimenti di flessione e rotazione della coscia sul tronco. È una delle due componenti dell’articolazione dell’anca che permette di camminare, sederci, salire e scendere le scale. In alcuni casi, probabilmente a causa di alterazioni del microcircolo locale, viene interrotto l’apporto di sangue alla testa del femore e questo comporta una necrosi, ovvero una vera e propria “morte” delle cellule dell’osso che, se non riconosciuta in tempo diventa irreversibile e porta a una deformazione della stessa e nei casi più gravi in breve tempo può condurre a un completo riassorbimento e scomparsa dell’articolazione.
Due sono le manifestazioni più comuni: il dolore e la limitazione articolare. Questi sono due sintomi completamente aspecifici e dato che la malattia può colpire pazienti di tutte le età (dal giovane 20 all’ultra 80enne) è importante riconoscerla subito e trattarla tempestivamente.
Una semplice radiografia del bacino può essere già dirimente, ma l’esame principe per riscontrare la patologia è la risonanza magnetica basale, ovvero senza mezzo di contrasto.
Le fasi precoci della malattia possono essere trattate conservativamente sulla base di 3 strumenti fondamentali:
- Astensione dal carico: il carico eccessivo può stressare le cellule ossee necrotiche e indurle al collasso portando alla deformazione della testa femorale
- Bifosfonati: iniezioni di questi farmaci ad alto dosaggio che impediscono il riassorbimento osseo e impediscono la progressione della malattia
- Magnetoterapia: l’utilizzo dei campi magnetici pulsatili induce l’apposizione di tessuto osseo e favorisce il ristabilimento dell’architettura originale dell’articolazione.
Purtroppo queste terapie funzionano solo nelle fasi iniziali che non sempre vengono riconosciute, e quando questo avviene si deve necessariamente passare ad una soluzione chirurgica che consiste nell’impianto di una Protesi Totale d’anca. Questa comporta una sostituzione totale dell’articolazione con una completa “Restitutio ad Integrum” e una ripresa immediata della funzione articolare. Con la nuova via anteriore mini-invasiva le strutture muscolari e tendinee non vengono interessate dal gesto chirurgico e vengono interamente rispettate, questo consente la mobilizzazione e la deambulazione del paziente già poche ore dopo l’intervento con due bastoni canadesi, che a partire da 2 settimane dopo possono già essere abbandonati e il paziente può riprendere le sue attività della vita quotidiana con una ripresa funzionale pressoché completa.
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